È possibile coniugare start-up a salari adeguati?
Com’è possibile coniugare fasi di start up e necessità di un adeguato livello di salari rispetto ad esperienze omologhe a livello europeo?
Paolo Lucchetta (architetto): A mio avviso progetti di start up opportunamente selezionate su valori legati al territorio, all'innovazione, alla considerazione di appartenenza ad una società' globale, alla ecosostenibilità, dovrebbero essere sostenute sul piano finanziario e fiscale, per poter consentire investimenti sul personale e sui beni strumentali per un periodo di almeno quattro anni.
Vanno ben ripensati i meccanismi di selezione e formazione per questi tipi di nuove imprenditorialità che si stanno velocemente diffondendo in molte aree eccellenti europee ed internazionali, vedi Berlino.
Valeria Tatano (architetto): Avviare iniziative imprenditoriali richiede oggi una buona dose di ottimismo e incoscienza, doti che per fortuna molti giovani possiedono, unite alla voglia di mettersi in gioco per raggiungere il proprio obiettivo, non legato solo al successo economico che la società ci suggerisce come modello.
Ma le giovani idee vanno supportate, aiutate a decollare per trovare autonomia e in questo percorso fare squadra è fondamentale. Bisogna avere a disposizione una rete, intesa sia come sistema di relazioni, che come rete di sicurezza, perché servono incentivi economici, strutture come gli incubatori di impresa, ma anche collegamenti tra imprese, università e centri di ricerca che facciano circolare energie e stimoli, attivando una sana competizione.
Le aspettative dei giovani che entrano nel mondo del lavoro sono spesso disattese dalla realtà e per i neolaureati che hanno impegnato anni ed energie nello studio la delusione è ancora più grande. Una fase iniziale poco remunerativa potrebbe essere giustificata da esperienze altamente formative, ma a tempo, mentre in Italia spesso questi tempi si dilatano per non volere riconoscere professionalità già raggiunte, situazione facilitata da un’altra visione distorta tipica del nostro paese che non considera mai i giovani abbastanza maturi e credibili anche a fronte di ottime preparazioni. In Italia devi essere vecchio, o almeno sembrarlo, se vuoi essere attendibile.
Pierluigi Aluisio (informatico): Nel mercato del lavoro italiano c’è un mix deleterio di rigidità in ingresso e in uscita del personale per le aziende e al tempo stesso mancanza di garanzie per i lavoratori. Potrei dire che per le aziende “un dipendente è per sempre” ma devono “sposarlo” senza possibilità di “fidanzarsi” per conoscersi prima; ma una volta che lo abbandonano egli è lasciato a sé stesso con dei risibili ammortizzatori sociali.
Questa rigidità crea molte diffidenze, difficoltà e barriere all’ingresso nel mercato del lavoro per i giovani e i talenti che non possono essere adeguatamente ed economicamente testati nel loro valore durante l’inserimento in azienda, soprattutto se questa è una start up.
A meno che una start up non possa contare fin dalla sua fondazione su ingenti patrimoni faticherà quindi a coinvolgere talenti e professionalità qualificate e allo stesso tempo flessibili per consentire alla nuova business idea di decollare. Il risultato: pochissimi hanno il coraggio di rischiare.
Bisognerebbe invece, come avviene a livello europeo, offrire alle startup innovative la possibilità di un inserimento graduale di giovani, ricercatori e talenti, sostenuto da consistenti defiscalizzazioni e decontribuzioni.
Andrea Stocchetti (economista): Conosco il problema solo marginalmente, ma parlando in generale, credo che il finanziamento di start-up a fronte di quote di capitale della stessa può incentivare soggetti pubblici e privati a considerare l’investimento come un asset di portafoglio il cui rischio è inversamente proporzionale alla qualità dei progetti e al numero di start-up finanziate. Incentivi pubblici come la defiscalizzazione degli investimenti e il finanziamento della fase progettuale possono far molto in questo senso.
Riccardo Dalla Torre (ricercatore economista): Non è facile coniugare questi aspetti. Le soluzioni da adottare possono coinvolgere vari livelli decisionali e molteplici attori. Innanzitutto le amministrazioni centrali e locali possono contribuire concedendo regime fiscali agevolati per i primi anni di attività, ma anche offrendo spazi e soluzioni al servizio delle start up (peraltro si tratta di elementi già esistenti, credo, o comunque sperimentati in diversi modi, penso agli incubatori d'impresa ad esempio). In secondo luogo sarebbe importante creare condivisione tra gli stakeholder del territorio su alcune tematiche: se si riesce a condividere alcune idee in merito allo sviluppo del nostro territorio, allora potrebbe risultare più semplice trovare le risorse da destinare al sostegno di realtà che vogliono cercare di mettere in pratica queste idee. Infine, è chiaro che risulta fondamentale l’appoggio dei privati.
Massimo Russo (giornalista): A Boulder, in Colorado, proprio in questi anni sta crescendo una nuova Silicon Valley per la disponibilità di giovani talenti (università) di risorse a basso prezzo (a cominciare dai terreni per gli insediamenti di hi-tech), di una qualità della vita che compensa le difficoltà di collegamento e i salari più bassi rispetto ad altre aree degli Stati Uniti. Mestre forse dovrebbe coltivare di più quegli intangibile assets (occasioni culturali, disponibilità e accessibilità delle infrastrutture di base, accesso al credito, qualità della vita) che possono attrarre e motivare giovani talenti sia a radicare le proprie start up in loco sia a lavorarci anche con bassi salari. Le possibilità di apprendimento e di evoluzione personale per molti sono una motivazione più forte del semplice salario.
Maurizio Carlotti (direttore televisivo): Il talento è una capacità personale, in ampia misura non trasferibile e pertanto non assoggettabile alla logica delle condizioni standardizzate che presiede la remunerazione del lavoro assalariato. Il talento può reclamare un trattamento economico “impresariale”, fondato sulla ripartizione dei risultati economici, proporzionalmente agli apporti di capitale materiale e immateriale. Si tratta di un tema di grande attualità nei paesi che godono di un elevato livello di benessere, probabilmente vicino al punto di massimo sviluppo. Il sistema, fondato essenzialmente su un sistema di garanzie, sarà messo a dura prova dalla competitività nei costi, sia della produzione che della protezione sociale, delle mal chiamate economie emergenti, che costituiranno nel prossimo ventennio la principale forza di crescita economica mondiale. I sistemi di retribuzione “garantiti”, e pertanto rigidi, saranno posti in discussione dalle condizioni, sensibilmente inferiori praticate in questi paesi. Il talento, e i suoi risultati facilmente direttamente attribuibili individualmente e/o a piccole unità produttive omogenee, si presta a sistemi di retribuzione composti, nei quali la base fissa viene integrata da una parte variabile rilevante, e in caso di successo preponderante, determinata dai risultati. Questa forma di remunerazione, assimilabile alla partecipazione azionariale per approvazione, è già diffusa presso il collettivo dei dirigenti e sarà presto la forma più moderna di compensazione delle persone con talento riconosciuto. Politiche fiscali, tendenti a generalizzare tale politica retributiva, e a favorire la partecipazione di tutti i fattori di successo dell’impresa ai suoi risultati economici, potrebbe renderla attrattiva anche dal punto di vista delle aziende.
Massimo Donà (musicista): Forse attraverso una forte motivazione che, solo, può spingere tutti a cercare di rendere l’attività progettata sempre più economicamente vantaggiosa e cercando di far ricadere gli utili dei processi avviati su tutte le componenti lavorative chiamate in causa. Tutti devono sentirsi un po’ imprenditori dell’avventura che hanno scelto di fare propria ed affrontare con entusiasmo. Responsabilizzandosi, ma anche vedendo premiato il proprio impegno e gli eventuali successi.
Emanuele Pettener (scrittore): Il fatto che le risorse per fasi di start-up siano indirizzate a diversi soggetti sul territorio, spesso doppioni che si interessano agli stessi progetti (ad esempio, nanotecnologie), procura una dispersione colpevole creando una situazione grave sia sul fronte degli emolumenti (non li chiamerei proprio più salari) sia nel depotenziamento dei progetti stessi, introducendo un handicap già in partenza rispetto esperienze simili all'estero.
Michele Brunello (architetto): Non è possibile nella congiuntura internazionale di questi anni. Non è più tempo per uno stato che copre il rischio dei privati. Oggi le possibilità si sono moltiplicate grazie alla globalizzazione, ma ogni impresa che vuole partire, ogni start up, deve assumersi una componete di rischio sulla propria pelle. I salari e la sopravvivenza minimi, soprattutto per i giovani e gli anziani, dovrebbero essere garantiti dal welfare, vera caratteristica del sistema Europeo, ma il rischio imprenditoriale delle start up se lo devono assumere i privati. Il pubblico dovrebbe rinforzare la connessione e la possibilità d’incontro tra investitori privati e creativi, capitali di rischio e innovatori sociali. Il pubblico dovrebbe porsi come garante e facilitatore dello sviluppo entrando nel concreto dei progetti, non solo come supporto all’avviamento e come ente erogatore di fondi.
Il poco che stato realizzato a livello comunale per le realtà giovanili e le start up, con la realizzazione degli incubatori e diversi aiuti sugli spazi e le tecnologie, va bene. L’impressione tuttavia è che si mantenga un approccio assistenziale piuttosto che imprenditoriale. I business plan credibili non sono ancora la discriminate per finanziare o meno un progetto ma si tende a distribuire a pioggia finanziamenti per poi avere un consenso diffuso.
Stefano Beraldo (dirigente): La risposta si chiama business plan e imprenditore. Se il business plan è bello, convincente, in mano a un soggetto capace che lo sostiene o che ne è autore, attrae capitale. Il capitale consentirà a chi fa impresa di ricorrere alle risorse umane necessarie alla sua realizzazione. La loro remunerazione non avrà nulla a che fare con il fatto che si tratta di start up, bensì dipenderà dal tipo di competenze richieste. È il capitale iniziale che paga le risorse, non l'anzianità dell'impresa. Se avrà successo, dopo aver ripagato il capitale iniziale, sarà l'impresa che pagherà sempre meglio e attrarra talenti sempre migliori per crescere e prosperare.
Aggiungo che l’unica colpa che faccio alla mia generazione, che però vedo migliorare nei giovanissimi di oggi, è la poca predisposizione al rischio. Visto che il futuro è assolutamente incerto, credo che valga mettersi in gioco e rischiare piuttosto che affidarsi alle rendite e le sicurezze esistenti.
Andrea Jester (consulente finanziario): Non credo che start up (di qualsiasi natura essa sia) e salari siano necessariamente due aspetti legati. Vivo per esperienza diretta nascita di imprese – che contribuisco a far nascere o di cui dirigo personalmente le attività . e la questione salario è un aspetto che verrà dopo se il mercato, il territorio o i soggetti ai quali mi rivolgo apprezzeranno quello che faccio. Sono disposto anche ad accettare il fatto che una qualsiasi start up possa avere esito negativo e quindi non contribuire minimamente al tema “salario”.